“VIENI A TROVARMI!”
Il messaggio era del mio amico Luigi che non sentivo ormai da anni. Ci eravamo conosciuti presso una comunità di padri separati. Lui lavorava come educatore e io avevo accettato di vivere in comunità dopo una vita di lavoro come cuoco in giro per il mondo. Mi ero trovato solo e con un reddito da pensione sociale. Moglie, figli e fratelli tutti impegnati a vivere la loro vita senza di me.
L’invito di Luigi mi fece molto piacere, avrei trascorso una giornata diversa dal solito.
Era un giorno d’estate e in auto raggiunsi quella località sperduta tra le colline piemontesi grazie al navigatore. Immerso nel verde dei prati sorgeva un edificio posto su due piani. Lungo la strada sterrata Luigi mi venne incontro. Poiché, per quanto lo conoscessi, credevo che avesse scelto di vivere in campagna e occuparsi di agricoltura mi complimentai per la sua scelta. Lui sorridendo mi condusse nel grande salone della casa dove con mio grande stupore vidi seduti attorno ai tavoli almeno venti giovanotti africani. Erano migranti che avevano fatto domanda per ottenere asilo politico. Alcuni di questi giovani raccontarono la loro esperienza migratoria, alcuni presentavano vistose cicatrici altri non trovarono le parole per raccontarsi. Nel tardo pomeriggio Luigi mi raccontò della grave situazione di emergenza riferita all’accoglienza dei migranti. Doveva trovare il personale e reperire le strutture per poter accogliere i molti rifugiati che attendevano di essere accolti. Concluse le sue argomentazioni chiedendomi se ero disposto a collaborare nella sua cooperativa come cuoco per quei giovanotti. Quella sera tornando verso casa ero così agitato che quando ho intravisto nello specchietto retrovisore due lampi di una luce intensa e inquietante, mentre percorrevo quelle strade buie e sconosciute, credetti di essere inseguito da fantasmi. Dopo due mesi seppi che due rilevatori di velocità avevano registrato la mia folle corsa verso casa.
Proprio adesso che avevo accettato di vivere da solo, ora che finalmente avevo tutto il tempo a mia disposizione senza impegni, senza orari, ora che potevo rivedere tutti i miei ricordi fumando i miei toscani e aspettando solo la fine della mia corsa, mi si presentava una richiesta di collaborazione in un contesto così insolito riferito poi a una situazione che suscitava nell’intera società e tra i protagonisti della politica, valutazioni e reazioni opposte e intense.
L’arrivo incessante di migranti aveva risvegliato i fantasmi delle continue e nefaste invasioni subite in un passato lontano e aveva alimentato la paura di veder imposte usanze, tradizioni e culture diverse.
Così ho trascorso alcuni giorni vagando tra egoismo e generosità, tra coraggio e incertezza, tra vantaggio e rischio, tra piacere e dovere, tra impegno e perbenismo per arrivare a una scelta. Accettai. Mi recai presso la fattoria dove erano stati accolti trenta giovanotti richiedenti asilo. Dopo alcuni giorni per quei ragazzi ero:“Gianni Chef”.
Da quattro anni cucino il loro cibo preferito, condivido con loro momenti festosi e giorni interminabili, trascorro con loro ore e ore in lunghe chiacchierate con la pretesa di insegnare l’italiano, scorrazzo con loro per le vie di quei paesi in cerca di un posto di lavoro, cerco di rassicurarli con un abbraccio quando l’incertezza del loro futuro acceca i loro occhi.
Giunto alla mia età e nelle mie condizioni pensavo di dover terminare i miei giorni solo con me stesso, di aver bisogno di tutto e di tutti. Invece, accogliendo l’invito del mio amico, scegliendo di donare il mio tempo, la mia esperienza, la mia vicinanza a queste persone che stanno cercando un posto su questo pianeta dove poter vivere, ho trovato una famiglia numerosa e ho riscoperto il bello della vita!