Mi chiamo Luca, ho 42 anni e la mia vita è ricominciata dal momento in cui sono diventato un volontario.
Io penso di essere stato fortunato, perché sono convinto di avere avuto due occasioni: la prima quando sono nato, la seconda quando mi sono risollevato dal mio personale momento di crisi. Scoprire il volontariato per me è stata la via d’uscita dal dolore, perché mi ha permesso trovare una strada buona da percorrere, superando a poco a poco le difficoltà.
La storia di questa mia seconda vita ha inizio nel 2008, anno in cui ho subìto due trapianti combinati, al cuore e al rene; da lì in poi sono entrato in un periodo nero: mi sono ritrovato a dover affrontare una depressione post intervento, e sono crollato in uno stato di indolenza e apatia. Per molto tempo sono rimasto chiuso in casa, evitando amici e parenti e in generale qualsiasi contatto umano. Un giorno però qualcosa è cambiato: ho conosciuto Giulia e Chiara, due ragazze o meglio, due angeli per me; sono venute a casa mia per incontrarmi e propormi di dare loro una mano in una parrocchia, una piccola distribuzione alimentare di cui si occupano attraverso il Ceis, il Centro di Solidarietà di Reggio Emilia.
Questo incontro mi ha dato modo di conoscere diverse realtà solidali e soprattutto entrare in contatto con chi, come me, stava attraversando un periodo di difficoltà. Da allora si è aperto un capitolo nuovo, al quale mi sono approcciato con entusiasmo inedito: ho capito che finalmente stavo uscendo dal tunnel nero della depressione, e che stavo ricominciando a vivere.
Il volontariato mi ha permesso di dare un significato differente alla mia esperienza di crisi, e la rilettura del mio trascorso emotivo mi ha portato a elaborare un obiettivo che trovo abbia un valore inestimabile: mettere questa mia seconda possibilità di vita a disposizione degli altri, e fare il possibile affinché le persone che stanno attraversando un momento di difficoltà abbiano, come me, un’altra occasione per risollevarsi dalla crisi.
Questa consapevolezza mi ha dato tanta energia, così da quel momento in avanti ho ampliato la mia rete solidale, cercando anche altri contesti di volontariato ai quali donare il mio tempo; proprio in questa fase di ricerca nel 2017 mi sono imbattuto in Dora, l’emporio solidale di Reggio Emilia che stava nascendo proprio ad aprile di quell’anno.
Dora è un progetto ideato e co-costruito da DarVoce, Centro di Servizi di Volontariato della mia città, assieme a tante altre realtà del territorio. Il nome scelto è già di per sé molto significativo: Dora deriva da una commistione tra il greco “doron”, ovvero “dono”, e il reggiano “resdora”, come un tempo veniva definita la reggitrice della casa. Questo emporio è solidale perché permette a persone in difficoltà economica di fare liberamente la spesa attraverso un sistema di punti concessi in base alla quantità di persone presenti per ogni famiglia; Dora però non è soltanto un minimarket.
Ricordo ancora la prima volta che ci sono entrato: è stato amore a prima vista! Un luogo accogliente, sereno e semplicemente bello. Proprio come un piccolo emporio di paese, le persone entrano e scelgono in autonomia i prodotti che preferiscono, scambiando due parole con i volontari che gestiscono il negozio; c’è addirittura uno spazio dove vengono organizzati laboratori e attività ricreative per bambini, così mentre loro giocano e si divertono sotto la supervisione di volontari dedicati, i genitori possono fare la spesa in tranquillità. Ho trovato adorabile il nome scelto per questo spazio: “StraDora”, un gioco di parole tra il nome del progetto e un’esclamazione in dialetto reggiano, una sorta di benedizione affettuosa che la nonna di un tempo – la nostra cara “resdora”, appunto – dispensava volentieri ai propri nipotini.
Ho avuto subito una sensazione, banale forse, ma altrettanto vera: qui le persone stanno bene. Sta bene chi fa la spesa, che due volte a settimana può venire in emporio e qui trova respiro dalla propria situazione critica; sta bene chi fa il volontario, che sa di contribuire al sollievo di qualcuno, anche solo con un sorriso. Per questo ho scelto di restare qui. Qui ho trovato il mio posto, il mio ruolo.
L’aspetto incredibile del volontariato è il fatto che si entra in un luogo pensando di trovarsi lì per fare semplicemente del bene a qualcuno, invece giorno dopo giorno si scopre con meraviglia quanto in realtà quel luogo, quelle persone, in un qualche modo sappiano restituire il favore, sappiano a loro volta donare. A me per esempio il volontariato ha permesso di ritrovarmi, riconoscermi. Dal vuoto in cui ero precipitato sono tornato a credere nelle mie capacità, avere autostima, e ho imparato forse per la prima volta a volermi davvero bene.
Così dono, più che posso! Dono il mio tempo, dono le competenze che ho acquisito proprio frequentando l’emporio: dalla gestione del gruppo dei volontari alla relazione con le famiglie, dall’amministrazione del magazzino all’organizzazione di eventi, passando per la promozione sui social.
Mi sono anche sperimentato nella donazione economica, non direttamente, ma utilizzando gli strumenti a mia disposizione per coinvolgere la mia cerchia di amici a contribuire. Ho scoperto di essere diventato un Personal Fundraiser (un termine che non conoscevo) quando ho chiesto ai miei amici di devolvere l’importo dei regali del mio compleanno a Dora, così come quando ho proposto le tavolette di cioccolato solidale ai miei amici. Essendo spesso in Emporio, accolgo frequentemente e ringrazio le persone che vengono spontaneamente a portare il loro prezioso contributo di beni o di denaro, e così ho realizzato che la bellezza del dono, è sentita anche dai donatori. Sono loro a ringraziare noi, mentre dovrebbe essere il contrario. Anche per loro, vale questa citazione di Goethe, nella quale mi ritrovo molto “Vuoi vivere felice? Viaggia con due borse, una per dare, l’altra per ricevere!”. Ed è proprio vero.
Uno degli aspetti più stimolanti del frequentare l’emporio sta nell’incontro con le famiglie che vengono a fare la spesa; il momento della spesa permette infatti di approcciarsi sin da subito in modo amichevole, informale, e questo spesso e volentieri dà libero accesso al racconto spontaneo del proprio percorso. Ogni persona che incontro a Dora porta con sé una storia, che vale sempre la pena ascoltare. Alcuni hanno un passato travagliato, a volte drammatico, tutti quanti sono accomunati da un avvenire in costruzione. Molti nonostante le difficoltà hanno sempre un sorriso, una parola buona per tutti, dimostrando una resilienza formidabile. Penso di avere molto da imparare.
Altri incontri gratificanti sono quelli con i donatori, che possono essere aziende, enti o associazioni del territorio, ma anche persone comuni che vengono a conoscenza di questa realtà e scelgono di sostenerla come possono: chi con un contributo economico, chi con una donazione continuativa di una piccola spesa con prodotti a piacere. A questi donatori fidelizzati consegniamo una tessera che si chiama “D’ora in poi” (ci piacciono molto i giochi di parole!). La loro collaborazione è davvero preziosa, e ha tanto più valore quanto più si dimostra spontanea e viscerale.
Il bello di essere un volontario a Dora sta quindi anche nella possibilità di incontrare persone nuove, e la quotidianità dà poi modo di instaurare delle relazioni positive. Da quando sono arrivato in emporio mi sembra di essere entrato a far parte di una seconda famiglia; qui ho imbastito legami solidi, amicizie profonde, autentiche. Sto pensando ad esempio a Massimo, un volontario che da quando è in pensione si è avvicinato all’emporio e come me si prende cura di Dora, prestandosi ad ogni bisogno: correre a prendere il pane, fare le pulizie, occuparsi delle attività di back office. Ma al pari di Massimo potrei citare altri, perché fortunatamente siamo in tanti, tutti uniti dall’affetto e dalla passione che ci lega a questo emporio solidale.
Quest’anno per noi sarà un anno di sfide e di crescita: ci apprestiamo a diventare un’associazione di volontari che gestisce in completa autonomia l’emporio. È un grande salto per noi, ma il volontariato tra le tante cose mi ha insegnato anche ad essere ottimista. D’altronde se ripenso al mio percorso personale, non posso che essere fiducioso: ho capito che se si ha un obiettivo bisogna perseguirlo con entusiasmo, costanza e dedizione. Se poi questo obiettivo è un sogno collettivo e partecipato, ha molte più probabilità di diventare vero! Io ci credo, con tutto il cuore. Finora posso dirmi fiero di questa nostra piccola comunità virtuosa: Ho visto passare di qui tanta bellezza, l’ho vista nell’impegno di ognuno mosso dalla volontà di creare qualcosa di buono, l’ho vista nel sorriso di chi arriva qui per ricevere, inconsapevole di essere a sua volta in grado di donare. Piccole meraviglie quotidiane di cui sono grato: Dora è davvero il luogo in cui crescono i doni.