Dicembre 2018. Nei giorni meno frenetici delle vacanze di Natale ho sentito più chiaramente il cuore e i suoi richiami, il suo bisogno incessante, quasi spasmodico, di sentirsi vivificato da nuove esperienze di vita che lo nutrissero e rigenerassero. Credo che per questo sia così bello donare: fa parte delle nostre viscere più profonde. Donare è vita, fa palpitare il nostro cuore. Donare è amare!
È così che ho incontrato Caritas Children Onlus. Il mio cuore aveva fame d’amore, in particolare di amore verso un bambino, di quelli che annullano e al tempo stesso fanno sentire fortissimi. La gravidanza, sognata e tanto attesa, non era ancora arrivata: l’adozione a distanza mi è sembrata così la via più immediata per incanalare il mio bisogno d’amore: quello che stava per succedere andava però ben oltre ogni mia più rosea aspettativa!
Ho trovato fin da subito un’associazione accogliente che interpreta con semplicità i tuoi bisogni, aperta all’incontro, anche diretto, con i bambini e trasparente per la sua rigorosità nel rendere pubbliche le finalità e le modalità di realizzazione dei tanti progetti che promuove e sostiene.
Nella persona magica e meravigliosa di Flavia, vicepresidente dell’associazione, il mio sogno si è ben presto concretizzato. Lei è stata il mio angelo, colei che con grande sensibilità ha sentito e capito il mio desiderio e lo ha reso possibile. La mattina del 6 febbraio 2019 ho ricevuto da Flavia un messaggio con la proposta di adottare Elisa, una bimba di poco meno di due mesi di vita, arrivata insieme alla sua gemellina Maria all’orfanotrofio di Oussouye (Senegal) in condizioni di malnutrizione e deperimento gravissime. Senza l’intervento coraggioso, pronto e competente delle suore Figlie del Santo Cuore di Gesù il destino le avrebbe condotte a morte sicura.
“Gemella? Impossibile separarle!” Senza pensarci troppo, io e il mio compagno abbiamo immediatamente convenuto all’adozione di entrambe le bimbe, Elisa e Maria. Ero al settimo cielo dalla gioia: vedere le loro foto, sebbene ancora in evidente stato di fragilità, mi elettrizzava ed emozionava tantissimo. Ma Flavia aveva ragione: quello era solo l’inizio!
Dopo i primi contatti e la regolarizzazione delle poche pratiche burocratiche, l’associazione con molta semplicità ha caldeggiato, qualora lo avessi desiderato, una mia visita all’orfanotrofio, permettendo così di ridurre le distanze. “Davvero andare dalle bimbe? Che meraviglia!” In marzo ho cominciato a maturare la decisione e, a poco a poco, la rete dei contatti si è allargata e il viaggio ha cominciato a prendere forma tra profilassi mediche, biglietti aerei e studio delle filastrocche senegalesi da cantare alle bimbe.
Così il 17 maggio 2019 siamo partiti e solo due giorni dopo tenevo per la prima volta in braccio le bimbe! Affiancata dalle amorevoli suore e dalla compagnia di tanti altri bambini smaniosi di affetto, il mio desiderio di maternità prendeva pienamente forma con la cura, giorno e notte, delle bimbe.
Visibilmente emozionati per l’incontro con questa nuova realtà, io e Mauro abbiamo deciso di ritornare in Senegal l’8 dicembre 2019 per festeggiare il primo compleanno di Elisa e Maria, che nel frattempo stavano cimentandosi nei loro primi passi.
Un’altra settimana di immensa ma faticosa felicità. La vita in orfanotrofio comporta infatti grandi gioie ma anche spirito di sacrifico e pochissimo riposo. Anche se meravigliosamente accuditi da suore e tate, i bambini hanno un bisogno fortissimo di quell’esclusività d’amore che la mancanza di una famiglia non può del tutto compensare. E questo ti fa sentire spesso inadeguato ai loro bisogni. La notte arriva sempre troppo presto, lasciandoti un senso di insufficienza per quello che sei, per quello che fai e per quello che dai.
Cresce infatti presto la consapevolezza che donare ha anche il sapore amarognolo del non poter essere ‘la soluzione’. Anche perché viene presto l’ora del ritorno, che agli occhi dei bimbi è un po’ come un abbandono, un tradimento del senso di umanità che si era risvegliato ed ora è costretto a ritornare in un mondo sempre insoddisfatto del troppo che ha.
Il bello di donare è però aprire occhi e coscienza anestetizzati, ridare valore ai bisogni essenziali ed ai beni comuni, rendersi conto in fretta che, se lo vogliamo, possiamo essere sì un piccolissimo ingranaggio del Bene, ma gratificati mille volte di più di quanto si fa.
E poi il bello di donare è contagioso: trasmetterne l’emozione e comunicarne la gratificazione fa emergere insospettabili slanci nelle persone che ti circondano, che spesso sembrano muoversi come frenetici automi arrabbiati e infelici. Ma basta una scintilla, un esempio positivo, ed ecco che ritorna prepotente la voglia di condividere e di contribuire in cambio di semplice, cristallina felicità.